Da ragazza vulnerabile a cintura nera: la storia della mia rivincita

Ultimo aggiornamento: 25.04.24

“Non importa quante volte cadi, ma quante volte cadi e ti rialzi” – Vince Lombardi

 

A tutti sarà capitato almeno una volta nella vita di vivere un’esperienza traumatica e di pensare che quel dolore sarebbe durato per sempre, come se il trauma fosse ancora in corso o stesse per accadere di nuovo.

 

La cose brutte, purtroppo, capitano anche alle brave persone, ma francamente credo che se da un lato le avversità ci facciano sprofondare in un baratro fatto di tristezza e sofferenza, dall’altro bisogna inevitabilmente trovare la forza per rialzarsi, cercando di non perdere di vista le cose positive della vita.

Autocommiserarsi o puntare il dito contro se stessi, in effetti, non serve a nulla se non a sabotare ulteriormente la propria autostima, portandoci a pensare “Perché è successo proprio a me?” oppure “È solo colpa mia!”. Dopo la mia disavventura sapete io invece cosa mi sono detta? “La prossima volta non mi farò cogliere impreparata e renderò loro pan per focaccia!”. Ma ora vi racconto nel dettaglio come sono giunta a questa conclusione.

 

Tutto cominciò quel 19 maggio del 2001

Ero una ragazza come tante, piena di sogni e speranze, quando a seguito di una brutta esperienza conobbi per la prima volta un sentimento fino ad allora sconosciuto: la paura. All’epoca non avevo molti amici e tra i banchi di scuola me ne stavo sempre in disparte, al punto da essere additata dai miei compagni come “la tipa strana” perché sempre vestita tutta di nero, con anfibi militari ai piedi, capelli rasati su un lato e quell’abbigliamento dal mood dark che non rispecchiava i canoni estetici richiesti dalla società a quei tempi.

Ma la cosa, a dire il vero, non mi è mai pesata più di tanto, anzi cercavo sempre di isolarmi il più possibile dal resto del mondo e non facevo nulla per tentare di piacere agli altri. I miei voti a scuola erano i più alti della classe, anzi secondo la prof di italiano erano i migliori dell’intero istituto, al punto da dire a mia madre durante un incontro scuola-famiglia: “Signora, nel caso di sua figlia trova conferma il detto l’abito non fa il monaco!”, riferendosi al mio outfit da ragazza ribelle, turbolenta e lavativa.

Mi sentivo forte, invulnerabile e sicura di me, una Wonder Woman invincibile sempre pronta ad affrontare le sfide della vita a testa alta. Ma un bel giorno tutto cambiò: come vivevo, la mia corazza, la mia sicurezza… tutto spazzato via da una brutta disavventura che non auguro a nessuno di vivere.

Era il 19 maggio 2001, ancora poche settimane e sarebbero cominciate le tanto attese vacanze estive. Quella mattina faceva particolarmente caldo e non avevo voglia di seguire le lezioni, anche perché i miei voti erano eccellenti e, a differenza di molti miei compagni di classe, avevo la promozione già in tasca. Decisi così di “marinare” la scuola e mi diressi verso la stazione della Circumvesuviana alla volta di Pompei per concedermi una bella passeggiata prima di ritornare a casa al solito orario per non farmi “sgamare” dai miei genitori.

Mentre attendevo l’arrivo del treno seduta su una panchina della stazione – a quell’ora praticamente deserta – si avvicinarono due loschi individui dall’aria poco raccomandabile. Uno di loro mi chiese l’orario e l’altro, approfittando della mia distrazione, afferrò con violenza lo spallaccio del mio zaino tirandolo con forza.

Una persona sana di mente avrebbe mollato subito la presa per evitare pericolose conseguenze e, col senno di poi, avrei dovuto farlo anch’io. Invece, agguantai con tenacia la borsa per impedire che la rubassero e iniziai a urlare a squarciagola. Nella colluttazione caddi rovinosamente a terra e subito i due malintenzionati ne approfittarono per riempirmi di calci e pugni prima di darsi alla fuga.

Dal trauma alla rivincita

Rimasi a terra dolorante per qualche minuto prima di essere soccorsa dal capostazione, che cercò di tranquillizzarmi prima di accompagnarmi alla stazione di polizia lì vicino. Ovviamente, essendo ancora minorenne, i poliziotti avvisarono subito i miei genitori che si fiondarono sul posto in meno di cinque minuti. Dopo aver sporto denuncia, tornai a casa e mi chiusi nella mia stanza per giorni e giorni. Avevo paura di uscire da sola e iniziai ad avere violenti attacchi di panico quasi ogni giorno, come se il mondo intorno a me avesse perso la sua poesia e la vita la sua logica.

Così mia madre, con la sensibilità tipica di tutte le mamme, un giorno mi disse: “Tante volte ti avrei presa a schiaffi per il tuo essere così orgogliosa e ribelle, ma ora tocca a te prende a schiaffi la vita!”. Scoppiai in lacrime e lei mi abbracciò per calmarmi, lanciandomi una sfida: “Ti sei sempre vantata di avere un carattere forte, e lo penso anch’io. Ma secondo me quello che ti manca è solo un po’ di forza fisica. Ho sentito parlare di una nuova scuola di karate qui vicino, domani andiamo a iscriverti. Che ne dici?”. Con riluttanza accettai.

 

La paura si mette il kimono e scende sul tatami

Al di là degli obiettivi educativi e formativi, praticare il karate per dieci anni mi ha insegnato a conoscere i miei limiti e le mie qualità, permettendomi da un lato di migliorarmi come persona e dall’altro di aumentare l’autostima e la fiducia in me stessa. Grazie agli insegnamenti del mio sensei e alla condivisione delle mie esperienze con i compagni di corso ho imparato a trasformare l’aggressività e la paura in energie positive e, a ogni grado Kyū riconosciutomi, acquisivo maggiore sicurezza nelle mie capacità.

 

Imparare le tecniche di difesa personale mi ha aiutata a rimanere calma anche in situazioni di pericolo, controllando e bilanciando le energie vitali e allontanando quelle negative. Dopo l’acquisizione della cintura nera ho iniziato a insegnare la disciplina agli allievi più piccoli della scuola come assistente di sala, raccontando la mia esperienza personale e spiegando che la fiducia in se stessi va di pari passo con i piccoli e grandi progressi che si riescono a ottenere con disciplina e dedizione.

Guadagnarsi una cintura di livello superiore, però, non deve diventare prepotenza sugli altri ma un “umile” credere in se stessi, un incentivo per aumentare la propria autostima e un’occasione per rafforzare la fiducia nei propri mezzi e nelle proprie potenzialità. 

 

 

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