La vitamina D è un elemento fondamentale per il benessere del nostro organismo, in particolare per la struttura ossea. Ma come fare per assimilarla correttamente?
La vitamina D è un particolare elemento liposolubile ricavato dal colesterolo, considerato essenziale poiché precursore di diversi ormoni. Serve a sintetizzare alcuni dei minerali ritenuti fondamentali per il benessere del corpo umano, come il calcio, il magnesio e il fosfato.
Attualmente sono stati identificati quattro tipi: D1, D2, D3, D4 e D5, tuttavia, soltanto la D2, ovvero l’ergocalciferolo, e la D3, il colecalciferolo, sembra siano maggiormente utili all’organismo.
La seconda tipologia deriva dal colesterolo e viene sintetizzata attraverso i raggi del sole, mentre la prima ha un’origine vegetale, tuttavia, entrambe hanno bisogno della luce ultravioletta per attivarsi.
I primi studi sulla vitamina D risalgono al 1919, quando alcuni scienziati notarono che i bambini affetti da rachitismo ed esposti alle radiazioni UV riuscivano a guarire, scoprendo quanto tale elemento fosse importante per il corretto mantenimento delle ossa.
Inoltre, furono in grado di identificarla all’interno dell’olio di fegato di merluzzo, uno degli alimenti con la più alta concentrazione di colecalciferolo.
Precisamente, la vitamina D può essere assorbita direttamente attraverso la pelle, ma viene anche assimilata dall’intestino e trasportata fino ai reni, dove si tramuta in forma attiva, aiutando il calcio e il fosfato a raggiungere le cellule prestabilite.
A cosa serve
Come abbiamo visto, la vitamina D svolge un importantissimo ruolo per mantenere il regolare metabolismo della struttura ossea, senza il quale potrebbero insorgere numerose malattie a carico del sistema scheletrico, come il rachitismo, l’osteopenia, l’artrosi ecc.
Il motivo di tale valore è dato proprio la capacità della molecola di sintetizzare correttamente il calcio: in caso di penuria, il minerale non viene estratto più estratto normalmente dal cibo, non riuscendo ad arrivare in quantità adeguate alle cellule del nostro organismo.
Fabbisogno giornaliero
Non è facile stabilire quale sia la giusta dose da assumere giornalmente: vi è in corso una lunga polemica a riguardo, poiché secondo alcuni studiosi la soglia minima impostata, ovvero tra 10 e 24 μg, sembra sia troppo alta.
Questo ha fatto sì che si notasse un’elevata percentuale di carenza nella popolazione, costringendo ogni nazione a regolarsi autonomamente, poiché in contrapposizione tra loro.
In ogni caso, secondo l’Istituto di Medicina in Italia, il valore di vitamina D nel sangue al di sotto di 20 μg è considerato insufficiente per il corretto mantenimento della struttura ossea.
Generalmente, per un uomo o una donna adulti il range di riferimento va dai 15, soglia minima, fino ai 100 μg, dato che però non deve essere superato. Per quanto riguarda gli infanti da 0 ai 12 mesi, la dose massima è di 25 μg, mentre per le donne in stato di gravidanza o allattamento il valore resta tra 15 e 100 μg.
In quali cibi è contenuta
Può suonare strano, eppure sembra sia davvero difficile assorbire la vitamina D soltanto attraverso l’alimentazione. Pochi cibi ne contengono una quantità tale da ricoprire il fabbisogno energetico giornaliero, ed è per questo motivo che viene consigliato, soprattutto in età pediatrica, di esporsi alla luce del sole.
È possibile trovarla nelle arringhe, nel salmone, nelle sardine e in generale nel pesce proveniente dal mare, inoltre, una buona concentrazione è presente anche nel tuorlo dell’uovo e nel fegato di alcuni animali, come il bovino oppure il merluzzo.
Oltre a ciò, non è raro imbattersi in alcuni prodotti alimentari proposti con aggiunta di vitamina D: per esempio il latte, le bevande a base di soia, di mandorle, o di avena, lo yogurt, e persino i cereali.
Tuttavia, secondo la FDA, ovvero la Food and Drug Administration degli Stati Uniti, tale supplemento non dovrebbe mai superare i 42 UI per i latticini, e 84 UI per gli alimenti di origine vegetale.
Attenzione: senza la vitamina D, il calcio presente all’interno degli alimenti, come il latte e i prodotti caseari, non viene assimilato correttamente, dunque risulta estremamente importante avere entrambi gli elementi per mettere in moto il giusto meccanismo.
Ricordate inoltre, che durante la cottura la concentrazione della molecola tende a diminuire, perdendo circa il 30-40% della sua forma originale.
I sintomi da carenza
Nonostante al giorno d’oggi, nei Paesi Sviluppati, una carenza da vitamina D è considerata rara, i sintomi da deficit possono essere vari, ma tutti riguardanti il sistema muscolare ed endocrino.
Un principio di osteopenia potrebbe essere il primo campanello d’allarme, che dovrebbe mettere in guardia nei confronti di malattie più importanti, come l’osteoporosi, il rachitismo e altre patologie che indicano una fragilità ossea molto elevata.
L’unico modo per poter constatare il valore di colecalciferolo nel sangue è effettuando un prelievo ematico, specificandolo al proprio medico, e sottoponendosi a un particolare esame chiamato densitometria ossea.
Quest’ultimo è indolore, serve per misurare la concentrazione di minerali nel tessuto osseo, e avviene, così come le radiografie, posizionando il femore o l’avambraccio al di sotto di un macchinario per la TAC. Integratori di vitamina D
Considerata la difficoltà nell’assimilare il colecalciferolo dal cibo, e l’impossibilità per alcune popolazioni del Nord Europa, dove si manifesta maggiormente la carenza, di esporsi spesso alla luce solare, molti medici consigliano l’assunzione di supplementi alimentari specifici.
Uno potrebbe essere quello proposto da Nutravita, giudicato come l’integratore di vitamina D più venduto online e apprezzato dagli utenti.
Il prodotto in questione contiene 1000 UI di principio attivo, si presenta sotto forma di capsule in gel, da ingerire durante il pasto principale, e può essere assunto anche dalle persone vegane, poiché prive di ingredienti di origine animale.
Sovradosaggio
È assolutamente sconsigliato l’utilizzo di un integratore alimentare di vitamina D senza aver prima effettuato delle analisi specifiche, soprattutto se si tratta di donne in stato di gravidanza, che potrebbero subire dei danni permanenti al feto.
Secondo l’IOM, sarebbe opportuno non superare mai i 4000 UI al giorno, e monitorare alcuni sintomi durante l’assunzione, come per esempio l’aumento della sete e della minzione, la comparsa di nausea, diarrea e un calo improvviso di peso.
Possono inoltre manifestarsi insufficienza renale, azotemia, formazione di calcoli nella vescica e ipercalcemia.
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